
Questa intervista a Paola Cortellesi è pubblicata sul numero 47 di Vanity Fair in edicola fino al 21 novembre 2023. Per festeggiare con noi i nostri #20dicambiamento, leggete qui
In casa chi guarda i numeri è Riccardo Milani. «Ma hai capito quanta gente c’è in sala in questo momento?», le dice. Lei non lo sa, e chiede: «Quanta?». Lui si spazientisce. «No, tu non hai capito». Potrebbe essere la scena di uno dei suoi tanti film, ma la sceneggiatura non prosegue: Il marito regista esce di casa visibilmente seccato dopo aver consultato i dati del successo incredibile dell’esordio da regista della moglie. «Lui è il mio primo fan, e questa cosa mi piace», sorride Paola Cortellesi parlando dell’uomo che la porterà «probabilmente da qualche parte» a festeggiare i suoi 50 anni, il 24 novembre.
Un compleanno particolare non solo perché tondo: il suo C’è ancora domani, storia di una famiglia romana nel 1946 dove lui, Ivano (Valerio Mastandrea), «je mena» e lei, Delia (Paola Cortellesi), sopporta, ha raggiunto quasi 13 milioni di incassi in tre settimane, ha più che doppiato Scorsese, portato al cinema 2 milioni di persone ed è la pellicola italiana più vista dopo la pandemia. Un film che parla di violenza domestica, patriarcato, diritti civili, dedicato a sua figlia Laura, e che la gente fa la fila per andare a vedere e in sala piange, ride, applaude. «Sto girando nei cinema italiani per ringraziare il pubblico, per ora sono stata al Nord, e presto andrò a Sud».

Nel suo giro d’Italia che persone incontra?
«Volevo parlare di questo argomento, ci credevo, ma non potevo sapere l’effetto che avrebbe avuto. La cosa bella è andare a fine spettacolo, quando mi fermo a parlare una mezz’ora. Diventa una seduta di psicoterapia collettiva, e vengono fuori cose meravigliose, come una signora che davanti a tutti ha avuto il coraggio di dire: “Io sono stata Delia, ma non lo sono più”. Una signora di 90 anni mi ha abbracciato e io sono crollata. Mi sono chiesta come mai questo film risuoni così tanto nelle persone».
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Che risposta si è data?
«Che è una storia che ci riguarda tutti, con sfumature diverse di patriarcato. Magari non tutte hanno vissuto un rapporto così tossico con un uomo, o non tutti i figli hanno visto il proprio
padre picchiare la madre. La maggior parte ha sentito un insulto, un “non vali niente”, un atteggiamento di sopraffazione, accettato per troppo tempo e che magari adesso risale. Ma chi non ha avuto queste esperienze in famiglia? Io non so di percosse nella mia, ma di “sta zitta” ne ho sentiti, e da un nonno dolcissimo con i suoi nipoti. Capisce il cortocircuito? Non ci sono solo i mostri, cattivi sempre. Vedo tanti uomini al cinema, uno mi ha detto: “Mi vergogno di far parte di questa categoria”, un altro: “Ho vissuto queste cose, ero bambino e si andava nell’altra stanza per non vederle”. C’è un comune denominatore evidentemente, se c’è tutta questa emozione».
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Appuntamento al teatro Lirico di Milano il 25 e il 26 novembre
Ha scoperchiato un «non detto».
«Le donne soprattutto si pongono tanti limiti, non solo quelli imposti dagli altri, per non dispiacere, per non disturbare. “Conti meno”: questo è stato inculcato alle ragazze degli anni ’40 e anche oggi, e nonostante abbiamo più diritti di allora, nella pratica non c’è consapevolezza di questi diritti».
Nel suo film il messaggio è che la realizzazione di una donna passa attraverso l’istruzione, non attraverso il matrimonio. Il governo Meloni invece premia la donna che mette su famiglia, e se fa due o più figli ha già dato «il suo contributo» allo Stato. Che cosa ne pensa?
«Che non si possa giudicare il contributo di una donna alla società in base a quanto partorisce. I figli si fanno per altri motivi, per amore ad esempio. Il matrimonio non è più l’unico traguardo da tempo, lo sono invece una buona istruzione e un buon lavoro. Su questi diritti dobbiamo puntare. Alcuni insegnanti che ho incontrato mi hanno detto che non riescono, con i libri, a fare appassionare i ragazzi alla storia dei diritti delle donne, e vorrebbero “sfruttare” il mio film».
Peccato che la scuola italiana non preveda un percorso di educazione all’affettività. Di recente una proposta per introdurre l’educazione sessuale è stata derisa in Parlamento…
«Un deputato della Lega ha definito “una nefandezza” l’idea, diceva, di “insegnare il sesso ai nostri figli di sei anni”. Quando ho sentito la notizia ho pensato proprio il contrario, l’educazione all’affettività e al rispetto di sé andrebbe iniziata alla scuola dell’infanzia, per proseguire più avanti con l’educazione sessuale, il tema del corpo… È uno scandalo che non sia previsto dal ministero».
Alcuni politici della maggioranza hanno sostenuto che sono temi che devono essere gestiti «in famiglia».
«Ma una figlia adolescente davvero sta lì a sentire i genitori? È evidente che se ne debba occupare un esperto».

Specialisti che, da anni, dicono che la prima educazione sessuale dei ragazzi sono i video porno sul cellulare.
«Sia chiaro: non ho nulla contro i desideri sessuali e le fantasie tra adulti, ma i ragazzini di oggi sono esposti a una quantità di informazioni esagerata, e quella non è l’età giusta per quei contenuti, ti cambiano i parametri, poi non capisci più niente e succedono anche cose molto gravi, basti leggere la cronaca del “branco” che stupra».
I maschi degli anni ’40, nel film, dai più anziani ai più giovani, sottomettono e sminuiscono le donne. Pensa che oggi le nuove generazioni siano più equilibrate?
«Dipende da dove provengono. Io ho disegnato un cerchio: Ivano, operaio, è figlio di un padre tossico. Il “ragazzo di buona famiglia” Giulio è figlio di un padre che magari non è come Ivano, ma da lui ha imparato che, una volta che la donna diventa sposa, è di sua proprietà. Volevo raccontare la questione del possesso, che non è legata solo alla cultura dell’epoca».
Non è cambiato molto, allora: oggi abbiamo indagati per violenza sessuale il figlio del presidente del Senato come i ragazzi di Palermo.
«Infatti quando dico che “dipende da dove vengono” non mi riferisco al ceto sociale, ma all’etica. Nel film non tutti i maschi sono maschilisti: c’è il soldato americano, o il marito dell’amica di Delia, che ci ricordano che ci sono stati anche uomini rispettosi e giocosi con le loro compagne. E ci sono anche adesso. Ma resiste, parallelamente, la mentalità sessista».
