Mi sono chiesto a lungo chi fosse la donna apparsa per un attimo sulla soglia di una casa parigina per ritirare un pacco in consegna quella tarda mattinata della primavera 2019. Una visione fugace, ma la grazia, l’eleganza (abito bianco e tacchi alti), il modo di ringraziare, tutto evocava la scena di un film. E quei capelli corvini… Poteva essere Monica Bellucci?
Ci sono voluti quattro anni per averne la certezza. Un giorno di primavera del 2023 è squillato il telefono. «Venga a casa, sarà più facile», mi dice Monica Bellucci.
Prima di aggiungere: «Non c’è nessun nome sul citofono, basta suonare». Lo stesso indirizzo, dunque, in quel quartiere della rive gauche di Parigi, accanto a un negozio di alimentari italiano dove sono appena arrivate le prime arance biologiche dalla Sicilia. Mi accoglie nella sua cucina dipinta di blu, su cui vigila la foto di una giovane Sophia Loren dal sorriso smagliante. Pantaloni neri, camicetta scura e sempre quei tacchi (molto) alti che ne valorizzano la figura. «Un caffè?», mi propone. Poi agita una pila di scatole della Maison Ladurée e aggiunge, con la sua voce inimitabile: «E un cioccolatino? Qui ce ne sono sempre…». Anche se non ami i dolci, è impossibile dire di no a Monica Bellucci.

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È tornata da Londra il giorno prima e sta per partire per gli Stati Uniti dove andrà a promuovere Mafia Mamma di Catherine Hardwicke, una commedia «violenta ma divertente», che vede protagonista una donna d’affari statunitense che ha appena ereditato un impero mafioso in Italia. Questo mese poi sarà di nuovo in Inghilterra per un servizio fotografico. Cannes? S’interroga sulla sua presenza al Festival, dove è stata madrina, membro della giuria e, nel 2002, ha destato scandalo con Irréversible di Gaspar Noé e la scena di stupro girata in un lungo piano sequenza di oltre nove minuti, al limite del sopportabile. Mi mostra uno screenshot sul suo telefono. «Ha visto il titolo dell’articolo del New York Times?». Me l’ha appena mandato Gaspar: «Vent’anni dopo, Irréversible continua a scioccare», legge. Nelle sue parole c’è una punta di orgoglio: quello di aver lasciato un segno nella sua arte con qualcosa che è ancora tristemente attuale.
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Deva, la figlia diciottenne, scende dal piano superiore e le comunica che uscirà con un’amica. Una normale scena di vita familiare in casa Bellucci. La porta si chiude e torna la calma. Né il silenzio né la solitudine sembrano pesarle. Monica Bellucci è cresciuta come figlia unica, padre impiegato in un’azienda di trasporti e madre casalinga, nell’Italia del boom economico, dove tutto sembrava possibile. «Ho sempre saputo di volere fare l’attrice, fin da bambina. Non ho mai preso in considerazione nessun’altra professione». Da adolescente andava al cinema anche tre volte al giorno e trascorreva i pomeriggi guardando i classici in tv. Ricorda le grandi protagoniste del cinema italiano: Sophia Loren, Virna Lisi… «Non credo esista un prototipo unico di femminilità italiana. Si tratta di una pluralità di femminilità, molto diverse tra loro». Ecco che evoca la forza di una Anna Magnani, o la fragilità di Giulietta Masina ne La strada. «Ma tutte avevano una cosa in comune», dice, «parlavano francese e inglese, e hanno avuto carriere internazionali».